Il bianco e il nero, tutta la luce e la sua assenza. Su questi due poli opposti si muove la scrittura raffinata e incisiva di Demetrio Paolin alla ricerca di un senso del gesto creativo, che a ben guardare è ricerca di un senso tout court.
Ogni luogo è intriso di emozioni avvertibili a livello inconscio, anche quando raccontano di orrori e violenze. Fabio Castiglione le sente ancora di più, perché afflitto da una condizione che lo espone inerme al loro influsso. Questo lo rende un uomo fragile, ma anche un implacabile cacciatore di assassini. Giunto in val di Susa per prendersi cura dell’eredità di un vecchio politico ritiratosi a vita eremitica, Fabio resta implicato nel groviglio di misteri che l’uomo ha lasciato dietro di sé dopo essere morto in circostanze oscure. Con Castiglione, un villaggio di fieri ed eccentrici rom determinati a onorare l’amico defunto senza paura di superare il confine fra giustizia e vendetta. Il male che porteranno alla luce richiederà tutto il loro coraggio.
Ignacio è un uomo di mezza età, un padre e un marito esemplare, uno stimato professore. Un giorno, all'improvviso, scompare. Nessuno sa dove possa essere finito: non ne hanno idea l'ex moglie, i figli, tutte le persone che, a vario titolo e in misure e gradi diversi, hanno avuto contatti e relazioni con lui. Tutti si interrogano su questa scomparsa che ha incrinato un equilibrio. L'indagine, le supposizioni, le ipotesi però smuovono qualcosa nelle anime di ognuno dei personaggi costringendoli a fare i conti con la loro esistenza, con nodi irrisolti, lati oscuri e non detti sepolti nel profondo. Quello che non sono mi assomiglia è un romanzo corale, polifonico, che dell'incessante ricerca della felicità fa il suo perno narrativo e la sua poetica.
Un romanzo vivido e sospeso come un quadro di Hopper, denso di personaggi nei quali non possiamo che riconoscere noi e le nostre scelte; un grande affresco preciso come una fotografia, largo come una carrellata su un paesaggio che si perde all'orizzonte. Nella spirale che condurrà ciascuno al proprio destino, qualcuno si salverà.
Ignacio è un uomo di mezza età, un padre e un marito esemplare, uno stimato professore. Un giorno, all’improvviso, scompare. Nessuno sa dove possa essere finito: non ne hanno idea l’ex moglie, i figli, tutte le persone che, a vario titolo e in misure e gradi diversi, hanno avuto contatti e relazioni con lui. Tutti si interrogano su questa scomparsa che ha incrinato un equilibrio. L’indagine, le supposizioni, le ipotesi però smuovono qualcosa nelle anime di ognuno dei personaggi costringendoli a fare i conti con la loro esistenza, con nodi irrisolti, lati oscuri e non detti sepolti nel profondo. Quello che non sono mi assomiglia è un romanzo corale, polifonico, che dell’incessante ricerca della felicità fa il suo perno narrativo e la sua poetica.
Un romanzo vivido e sospeso come un quadro di Hopper, denso di personaggi nei quali non possiamo che riconoscere noi e le nostre scelte; un grande affresco preciso come una fotografia, largo come una carrellata su un paesaggio che si perde all’orizzonte. Nella spirale che condurrà ciascuno al proprio destino, qualcuno si salverà.
Nella nostra epoca del preconfezionato, non c’è atto di ribellione come possedere una buona cassetta degli attrezzi. Da piccoli guardavamo con curiosità quella di nostro padre, e solo dopo molti anni abbiamo capito che tutti quegli attrezzi potevano essere usati in tre modi diversi: per aggiustare qualcosa che si è rotto, per inventare qualcosa che prima non c’era, e soprattutto per capire come funzionano le cose. In questo manuale troverete dieci racconti, abbinati a dieci strumenti classici della scrittura creativa; se è vero che non c’è pensiero senza linguaggio, allora bisogna smetterla di essere utenti passivi delle parole, e diventare protagonisti: sia che si legga, imparando ad apprezzare i buoni autori e a difendersi da quelli cattivi, sia che si scriva – ci sono meravigliose pagine che aspettano solo di essere scritte, magari da te.
Nella nostra epoca del preconfezionato, non c’è atto di ribellione come possedere una buona cassetta degli attrezzi. Da piccoli guardavamo con curiosità quella di nostro padre, e solo dopo molti anni abbiamo capito che tutti quegli attrezzi potevano essere usati in tre modi diversi: per aggiustare qualcosa che si è rotto, per inventare qualcosa che prima non c’era, e soprattutto per capire come funzionano le cose. In questo manuale troverete dieci racconti, abbinati a dieci strumenti classici della scrittura creativa; se è vero che non c’è pensiero senza linguaggio, allora bisogna smetterla di essere utenti passivi delle parole, e diventare protagonisti: sia che si legga, imparando ad apprezzare i buoni autori e a difendersi da quelli cattivi, sia che si scriva – ci sono meravigliose pagine che aspettano solo di essere scritte, magari da te.
Questo romanzo è un viaggio nel cuore oscuro di un’Italia di qualche decennio fa, in un contesto che oggi ritorna a inquietarci. È una discesa nel rifiuto viscerale di una società ipocrita. All’efficacia abbacinante della sua prosa, l’autore affianca una visione lucida fino all’estremo del saper stare al mondo oppure del volersene liberare.
Questo romanzo è un viaggio nel cuore oscuro di un’Italia di qualche decennio fa, in un contesto che oggi ritorna a inquietarci. È una discesa nel rifiuto viscerale di una società ipocrita. All’efficacia abbacinante della sua prosa, l’autore affianca una visione lucida fino all’estremo del saper stare al mondo oppure del volersene liberare.
Tre storie, tre romanzi brevi, diversi per personaggi e ambientazioni, ma accomunati dalla stessa matrice: l’elemento letterario che sublima il vero in un falso accattivante, originalissimo, profondo.
Nell’era dell’autofiction, Stefano Domenichini compie un percorso opposto: riempie di suggestione e fantasia precisi fatti oggettivi, situazioni realmente esistite, infondendo loro tutto il calore della “bugia” narrativa.
Lo stile diretto, ironico, denso di umanità dell’autore ci invita ad accettare la sua scommessa: credere all’impossibile, fino in fondo, per poi scoprire di avere, una volta chiuso il libro, gli occhi spalancati sul reale, la mente e il cuore lucidi di verità.
Tre storie, tre romanzi brevi, diversi per personaggi e ambientazioni, ma accomunati dalla stessa matrice: l’elemento letterario che sublima il vero in un falso accattivante, originalissimo, profondo.
Nell’era dell’autofiction, Stefano Domenichini compie un percorso opposto: riempie di suggestione e fantasia precisi fatti oggettivi, situazioni realmente esistite, infondendo loro tutto il calore della “bugia” narrativa.
Lo stile diretto, ironico, denso di umanità dell’autore ci invita ad accettare la sua scommessa: credere all’impossibile, fino in fondo, per poi scoprire di avere, una volta chiuso il libro, gli occhi spalancati sul reale, la mente e il cuore lucidi di verità.
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